Il sito di Franco Corleone
29 March 2024

Ricordo di Mino Martinazzoli

Mino Martinazzoli è stato un politico di razza. Ricordo alcuni suoi interventi da capogruppo della Democrazia Cristiana alla Camera dei Deputati. Anche se non si condivideva la sua analisi, non si poteva non apprezzare la lucidità, il rigore e la forza. Forza morale, cioè il rispetto per le proprie idee attraverso una intransigenza assoluta.

Personalmente ho sempre ammirato la straordinaria capacità di inventare immagini attraverso una ricerca linguistica raffinata. Era capace di esprimere una forma di retorica davvero unica. Rispetto al linguaggio, sguaiato e plebeo oggi dominante, le sue parole erano non solo suono ma sostanza, cioè concetti densi di pensiero.

Ho avuto l’occasione di un incontro con Martinazzoli a fine giugno dello scorso anno a Brescia per parlare di carcere e del pensiero di Moro sul senso della pena, presentando il libro da me curato Contro l’ergastolo, in cui è presente proprio uno scritto di Martinazzoli.

Un discorso che varrebbe la pena trascrivere (mi auguro che sia stato registrato) per il taglio politico e non di circostanza. Da un resoconto giornalistico (Lisa Cesco, Bresciaoggi, 27 giugno 2010), mi piace citare alcune frasi: “La società si sta incattivendo, predomina una visione punitiva della pena in nome dell’ossessione securitaria, quasi che l’universo del carcere fosse qualcosa da togliere di mezzo. Eppure la gestione della pena è uno dei modi in cui si misura il livello della nostra civiltà,e questo Moro l’aveva concettualizzato quando parlava di carcere riferendolo al tema della libertà-anche in negativo come accade per i rei- e non della vendetta.” La conclusione era assai coraggiosa, invitava a rendere la nostra indignazione più forte (anticipando il libretto di Stéphane Hessel) e denunciava senza pietà:”Siamo ridotti al nichilismo da parte di gente portatrice di una cultura del fare. Bisognerà convincerli che per fare bisogna prima pensare”.

Sempre da un resoconto giornalistico di quella intensa giornata (Wilda Nervi, Giornale di Brescia, 27 giugno 2010) mi piace ricordare un ammonimento di Martinazzoli sul pensiero giuridico di Moro che “non rinunciava a credere che occorresse cercare, ancora e sempre, non tanto un diritto penale migliore, quanto qualcosa di meglio del diritto penale”.

Per Mino Martinazzoli davvero la politica era cultura e intelligenza. Esercizio raffinato e raro, attraverso l’uso di una lama tagliente per capire la realtà e cambiare la società.

Il dolore per la sua scomparsa non si può risolvere solo in un rimpianto e in una nostalgia per un tempo passato irrimediabilmente, ma in un impegno per superare l’annichilimento.

L’anno scorso a Brescia Martinazzoli mi colpì anche umanamente. Fumava ancora e il racconto del  dialogo con il suo medico era una nuova lezione di stoicismo, un disincanto laico in risposta agli assolutismi e ai totalitarismi, fossero pure quelli del salutismo.

Addio Martinazzoli, è stata proprio una avventura non banale.

Franco Corleone

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