Il tema della giustizia è oggetto frequente
di scontro politico e di polemica. Il primo dato su cui riflettere
è la situazione di gravissima crisi in cui si trovava la giustizia
italiana quando, cinque anni fa, la coalizione dell'Ulivo ha assunto
la responsabilità del governo del paese.
Una crisi di efficienza per i lunghissimi tempi di risposta alle istanze
di giustizia dei cittadini e per le innumerevoli disfunzioni dell'apparato
giudiziario, ma anche una crisi di credibilità del sistema
nel suo complesso. Il livello di fiducia dei cittadini nei confronti
dell'apparato giudiziario resta purtroppo drammaticamente basso, come
peraltro conferma anche un recentissimo rapporto del Censis. Le ragioni
di questa crisi di credibilità e di consenso sono molteplici
e complesse, ma un ruolo determinante lo gioca l'inefficienza.
Il merito del Governo e del Parlamento è stato quello di tentare
di aggredire sin dall'inizio e contemporaneamente le ragioni della
crisi. Non ci si può illudere di aver, come per magia, risolto
ogni problema. Ma quello che non è discutibile è che
mai nella storia della nostra repubblica si era registrata una azione
riformatrice così ampia e articolata nel settore giustizia,
con il concorso e il consenso di tutte le forze politiche. A dispetto
delle quotidiane polemiche sulla giustizia, tutti i provvedimenti
adottati nella legislatura sono stati infatti approvati con il voto
favorevole, o con l'astensione, delle opposizioni.
Il primo obiettivo è stato quello di porre le basi per un recupero
di efficienza del sistema. In questa direzione si muovevano i provvedimenti
sul giudice unico, sulle sezioni stralcio, la depenalizzazione dei
reati minori, la competenza penale del giudice di pace, la riforma
dell'udienza preliminare e del giudizio abbreviato, tutti approvati
definitivamente.
L'introduzione del Giudice unico deve essere valutata senza trionfalismi
o catastrofismi. I risultati ottenuti al Tribunale di Trieste, forniscono
però lo spunto per una valutazione positiva in termini di più
razionale organizzazione e di accresciuta capacità di risposta.
Una riduzione delle pendenze civili in tutti i settori nel periodo
dal giugno 1999 al giugno 2000; una riduzione del 27,3% delle pendenze
dell'ufficio GIP (da 2.900 a 2.114); un incremento del 50% delle udienze
mensili del settore monocratico (da 16 a 24 udienze mensili). Risultati
lusinghieri che devono essere la premessa per un ulteriore passo in
avanti nell'anno a venire.
Nel tracciare questo bilancio rimane il rammarico per come sia difficile
la situazione del nostro sistema carcerario, che continua a restare
un luogo di sofferenza e di emarginazione, dimenticato e rimosso.
Se ne parla con accenti partecipati, commossi o indignati in occasione
di eventi drammatici come i fatti di Sassari o i suicidi di detenuti
o di agenti ovvero in occasione di evasioni o di delitti commessi
da persone ammesse a benefici. Ma poi si torna a dimenticare.
Le ricorrenti polemiche sui temi della sicurezza, con una ingiustificata
enfatizzazione della paura nei confronti della immigrazione; e il
continuo prevalere di un approccio ideologico sul tema delle droghe
impediscono di prendere atto del fatto che la stragrande maggioranza
delle persone ristrette sono soggetti deboli ed emarginati, per i
quali il carcere è inutile quando non è dannoso e rappresenta
un costo, in termini sociali ma anche in termini economici, assolutamente
intollerabile.
Anche per questa ragione è necessario che il Parlamento affronti
al più presto il provvedimento impropriamente definito "indultino",
cercando di dare finalmente una risposta alle tante e autorevoli sollecitazioni
che sono arrivate nel corso dello scorso anno per un atto ragionevole
di clemenza verso la popolazione detenuta.
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