Franco Corleone su Il Manifesto del 30.11.2001
Una cena è una cena. Non è equivalente a un panino
mangiato in piedi in un fast food con vicini occasionali. I commensali
a tavola si scelgono, non ci si può affidare al caso, soprattutto
perché cibo, vino e conversazione sono una forma di cultura.
Credo di non essere il solo ad essere rimasto di stucco domenica
sera a vedere in un importante telegiornale in prima serata, un
servizio lungo, forse troppo lungo, su un avvenimento culinario
per una qualche ricorrenza del cuoco Vissani.
Lo stupore non era motivato dalla presenza di tanti vip, ma da quella
sorridente e soddisfatta di Cossiga e D'Alema che par di capire
abbiano molti motivi di sintonia e di star bene insieme. Qualche
lettore particolarmente malevolo potrebbe dire che dio li fa e li
accoppia.
Ma i particolari raccapriccianti della serata non erano finiti.
L'incontro era organizzato dal Gambero rosso, rivista apprezzata
perché nata come costola de il manifesto. Il clou del meeting
mondano era infine rappresentato da un'asta di vini vecchi di anni,
alcuni addirittura di secoli; sicuramente imbevibili.
Non sarò certo io a negare legittimità alla mania
e alla nevrosi di una particolare forma di collezionismo. Comunque
opto per la ricerca e il possesso di libri vecchi e antichi che
almeno forniscono l'alibi di poter essere letti o almeno sfogliati
.
Una bottiglia di un vino pregiato oltre che essere tenuta in mano
non può dare altra soddisfazione se non ammirarne l'etichetta
e sognare profumi e sapori irraggiungibili.
Fin qui nulla di grave. Sono invece letteralmente saltato sulla
sedia balilla (ironia del nome) quando il giornalista con voce adeguatamente
impostata ha sottolineato che il ricavato dell'asta multimilionaria
sarebbe stato devoluto alla Comunità di San Patrignano. Ho
trangugiato il mio bicchiere di vino, diventato veleno, e mi sono
arrovellato in domande tutte senza risposta.
Passi per il duo Cossiga-D'Alema, la responsabilità può
infatti essere addebitata allo chef che ha pensato così di
arricchire le pietanze senza sapere che gli ingredienti appartenevano
ad una stagione passata (almeno insieme); doveri di ospite impongono
di fare buon viso a cattivo gioco e subire (almeno così si
spera che sia stato).
Ma l'interrogativo cui non so trovare risposta è un altro:
sapeva D'Alema dell'asta benefica a favore di Muccioli? In tal caso
perché non si è alzato e non ha dichiarato che era
offensivo per lui fare la controfigura di Letizia Moratti?
Se ignorava quello che non è un dettaglio insignificante
dopo la svolta regressiva e autoritaria sulla droga di recente proposta
da Fini proprio a San Patrignano, sede storica del proibizionismo,
perché non ha detto pubblicamente di essere caduto in un
tranello? Lui che si era anche espresso per la legalizzazione della
canapa?
Non finisce qui. Che l'organizzatore di tutto ciò sia il
Gambero rosso è solo un segno dei tempi o vuol dire che si
è persa anche la categoria della vergogna e della espressione
naturale del rossore al viso.
Poteva essere un'idea intelligente quella di associare il vino alla
demonizzazione delle droghe illegali invitando magari don Gallo,
trasgressivo e tabagista, e che ha messo in piedi un ottimo ristorante
gestito dai "tossici" della sua comunità di San
Benedetto al Porto di Genova: sostenere invece chi ritiene un peccato
e un delitto insieme fumare anche uno spinello mi pare proprio un
insulto.
Ma forse una ragione c'è e deriva dal fatto che San Patrignano
produce vino, in particolare Sangiovese, alla faccia della coerenza
moralistica. Un vero trionfo per la contraddizione e il mercato,
o meglio per il mercato della contraddizione.
In ogni caso speriamo che il Gambero rosso risolva il conflitto
cambiando testata.
Gli suggerisco due alternative: Gambero bianco o Gambero nero. Due
facce della stessa bottiglia.
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