Franco Corleone su Fuoriluogo di Novembre 2001
Un anno fa moriva Giancarlo Arnao. Era il 14 novembre e alla fine
di quel mese in apertura della terza conferenza governativa sulle
droghe, la ministra Livia Turco ricordò con parole piene
di rispetto e ammirazione la figura più nota e significativa
dellantiproibizionismo italiano.
Ma sono sicuro che se Giancarlo avesse potuto assistere a quellappuntamento
di Genova, più che di quellomaggio alla memoria, sarebbe
stato felice della controconferenza promossa dal Movimento e soprattutto
del discorso del ministro Veronesi. Certo non si sarebbe illuso
e non avrebbe pensato che quelle parole così ragionevoli
ma scandalose per il senso comune politicante, potessero avere alla
lunga un destino diverso da quello riservato ai suoi interventi
lucidi e puntuali che hanno segnato per trentanni il dibattito
sulle droghe.
Nello spazio di un mattino lautorevolezza indiscussa del professor
Veronesi non veniva riconosciuta. Anche la dichiarazione con cui
smentiva la notizia di una sua disponibilità a rimanere ministro
in caso di vittoria del centro-destra era nettamente controcorrente:
«sono laico e antifascista». Una frase senza equivoci
che sarebbe piaciuta a Giancarlo perché non amava le ambiguità
e i cedimenti sui principi.
Oggi la presa di posizione di Fini a San Patrignano conferma che
il vero discrimine per la politica sulle droghe in Italia è
proprio costituito dal clericalismo e dal fascismo, che per la destra
nostrana e aliena da qualsiasi modernizzazione è ancora il
modello culturale di riferimento. Arnao, laico e radicale, non si
sarebbe scoraggiato del livello del dibattito che rischia di riportarci
agli anni della legge del 1990: avrebbe fatto ricorso ancora una
volta alla sua intelligenza e alle sue conoscenze scientifiche per
smontare pezzo per pezzo i dati falsi e le argomentazioni moralistiche
e ideologiche che trovano ospitalità a Porta a Porta di Vespa.
E ne sentiamo la mancanza. Nessuno come lui potrebbe controbattere
gli ultimi sussulti di Pino Arlacchi, che tenta oggi di mascherare
il suo fallimento totale a partire dallAfghanistan con un
rilancio della war on drugs a partire dallEuropa, contestando
la politica di riduzione del danno.
Così la guerra globale per eccellenza si salda con lattacco
frontale della premiata ditta Muccioli-Moratti in nome della comunità
salvifica.
Dunque chi vuole riformare la politica delle droghe in senso pragmatico
e tollerante deve prendere atto dellesistenza di un fondamentalismo
occidentale che non ha niente da invidiare a quello islamico: entrambi
vogliono salvare lanima, la vita, uccidendo i corpi.
La scelta della riduzione del danno fa i conti con le contraddizioni
del mondo, con i rischi della vita e della convivenza senza alcuna
pretesa della risoluzione una volta per tutte dei problemi.
Come ha scritto Adriano Sofri, un mondo «senza» (senza
sfruttamento, senza guerra, senza droghe) è una pretesa totalizzante
che può vedere uniti rivoluzionari e poliziotti. Giancarlo
Arnao sapeva bene che lostacolo alla legalizzazione risiede
nelle convenzioni internazionali che rappresentano una sorta di
pensiero unico che esercita una forte egemonia anche se in contrasto
con la diffusione sempre più vasta di pratiche sociali di
umanità e solidarietà. Nel suo ricordo ci impegneremo
in una campagna internazionale perché il successore di Arlacchi
allagenzia Onu di Vienna sulle droghe sia un uomo o una donna
della tolleranza e della ragione.
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