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Intervento al convegno "Informazione e carcere. I giornali del carcere e altro…"
Firenze 4 dicembre 1999.

Ringrazio chi ha organizzato questo convegno, perché ha posto un grande tema che è quello dell'informazione in carcere e dell'informazione sul carcere; quello che emerge fuori dal carcere è sempre parziale, ed è incomparabile rispetto alla ricchezza delle testate che qui sono state presentate e che in alcuni casi manifestano uno spessore notevole.

Devo dire che questo convegno, inevitabilmente forse, non si è limitato ad affrontare i problemi dell'informazione, ma ha affrontato anche i problemi del carcere.

Ognuno dei temi toccati meriterebbe un convegno a parte e, in realtà, così accade, perché sul problema degli stranieri in carcere proprio qui a Firenze s'è tenuto qualche mese fa un importante convegno e, sul lavoro invece, s'è tenuto a Padova qualche giorno fa.

Sono molti i temi che richiederebbero un approfondimento e mi è difficile riassumere o ipotizzare risposte che non siano sintetiche. Mi è piaciuto un riferimento fatto ieri, relativo all'esperienza del giornale di Padova, "Ristretti", sull'idea che non vi debbono essere tabù, cioè che bisogna liberamente confrontarsi sia nella fattura del lavoro di informazione, sia credo questo vada inteso anche nelle cose che diciamo.

Ad esempio, devo dire che trovo in qualche modo stravagante, anche oggi nell'intervista, che Marzia Belloli abbia quasi polemizzato con la proposta di affettività nel carcere, quasi come se fosse in contrapposizione con il problema drammatico della liberazione dei bambini dal carcere.

Questa non è la prima volta che viene fatta polemica poiché io la conosco da molti anni, e trovo che sia assolutamente stravagante; è infatti una cosa sacrosanta lottare e impegnarsi per l'approvazione in Parlamento delle proposte di legge sull'affettività in carcere che sono all'esame, purtroppo non ancora concluso; non vedo pertanto la relazione con la liberazione dei bambini dal carcere, se non per questa maledizione tutta italiana di lottare quasi tra i deboli.

Invece di arricchirsi di diversi obiettivi, da richiedere agli interlocutori che possono essere quelli politici, quelli parlamentari, di governo, amministrativi ed essere solidali nel chiedere, facendosi forza delle diverse richieste, c'è l'abitudine di dire: "No, la mia viene prima…".

Sul terreno della rottura dei tabù, ritengo che l'opera d'informazione deve servirci per rompere il criterio della classificazione e usare un po' anche il criterio della distinzione.

Se dal mondo delle carceri uscisse una maggiore informazione sulla realtà, questo certamente ci aiuterebbe.

Un'istituzione chiusa è fondata su un sistema di relazioni di potere: è ovvio che il maggior esercizio del potere proviene dall'autorità, ma siamo sicuri che non vi è esercizio di potere anche a livello della detenzione? E come si esercita il potere nella nuova composizione della detenzione? Non so, ad esempio se le notizie che abbiamo su una parte di detenzione straniera - la quale comincerebbe ad esercitare un potere forte sugli altri detenuti - siano vere oppure no.

In questa sede sollevo questo tema, anche se probabilmente, sarebbe più opportuno avere notizie ed informazioni da parte della controinformazione che viene dai giornali del carcere come espressione di democrazia, e non avere solo un'informazione, cosiddetta "delle informative".

Dalla lettura dei giornali, ritengo che alcuni temi sarebbe meglio approfondirli di più come ad esempio il problema dell'alimentazione: infatti, se un giornale dice che si mangia male, dice una cosa che può essere vera o falsa. Da parte dell'Amministrazione si è fatto un tentativo con le tabelle per l'alimentazione, e sarebbe interessante avere un riscontro che ci dica se le cose sono cambiate in meglio, che cosa manca, o cosa non c'è.

Invece, sul problema del consumo di medicinali, occorrerebbe accertarsi di quanti e quali medicinali vengono consumati. Ritengo che nel mondo del carcere, si potrebbe fare quel giornalismo che oggi non si fa più: quello delle indagini, delle inchieste.

Lo stesso vale per la droga: è possibile che sia emerso il problema del consumo della droga solo perchè sono tragicamente morti, in pochi giorni, diversi giovani, a Torino, e a Pisa.

Bisogna lavorare perché questi giornali abbiano poi una relazione con le città, e soprattutto con le scuole, trovando anche il modo per essere poi inseriti nelle reti civiche.

In molte città oramai esiste un sistema informativo a livello comunale e, sarebbe opportuno a partire dalle biblioteche, chiedere che i giornali del carcere siano a disposizione dei cittadini.

Due temi che hanno cambiato il quadro della presenza in carcere sono la droga e l'immigrazione; problematiche queste, che si legano altresì ad altri problemi, come quelli della salute e del lavoro.

Ritengo che il carcere abbia due destini davanti: restare una discarica sociale, oppure avere in sé le forze per diventare un "laboratorio sociale", un "pezzo di stato sociale".

Sarebbe importante che alcuni giornali cominciassero a fare intervenire le università, per essere presenti dal carcere nel dibattito sulla riforma del welfare che viene promessa, o minacciata dal gennaio prossimo. Una riflessione sul welfare a partire dal luogo dove ci sono gli ultimi, i più deboli, i tossicodipendenti, gli emarginati, i malati e le malattie scomparse, gli stranieri poveri, come diceva Sofri.

Sul problema delle politiche, faccio presente che a Torino sono morti in tre per overdose, e il direttore pro tempore del carcere, presente in quei giorni, ha pensato di risolvere il problema con un ordine di servizio di questa natura: poiché ci sono prove, o sospetti, che quella droga sia entrata attraverso degli ovuli inghiottiti da un detenuto, i nuovi arrivati dovevano essere messi in apposite celle senza servizi igienici e tenuti lì tre giorni, a meno che accettassero di farsi fare delle radiografie, perché attraverso le evacuazioni si potesse giungere alla scoperta di eventuali ovuli.

Questo compito così "nobile" veniva affidato alla Polizia Penitenziaria. Ora si può pensare che si possa chiedere alla Polizia Penitenziaria di assumere un ruolo di partecipazione ad un progetto culturale all'interno del carcere, se gli si chiede di fare opere di questo genere? E' chiaro che tutto questo non riguarda più una comunità in cui, nei diversi ruoli, si opera per il reinserimento dei detenuti, ma diventa invece un luogo in cui si stabiliscono dei ruoli pazzeschi. Per fortuna, al suo rientro, il direttore ha ridimensionato questa circolare.

Il problema della tossicodipendenza pertanto, deve essere affrontato in maniera diversa sia fuori che dentro i carceri perché altrimenti o scaveremo nelle feci, oppure ci illuderemo di avere risolto il problema. Il tossicodipendente infatti, quando esce dal carcere, se non ha usato sostanze durante la detenzione, avrà la possibilità di morire più facilmente per overdose; lo stesso vale nel caso in cui usi tali sostanze, poiché non c'è controllo su un prodotto illegale che entra in carcere.

Anche per quanto riguarda il lavoro, il tossicodipendente quando esce dal carcere, non gli basta avere un lavoro che gli permetta di guadagnare un milione e mezzo, o un milione e otto, se poi deve spenderne il doppio per comperare la sostanza di cui ha bisogno. Sugli immigrati invece, potremmo fare in modo che essi, anche se irregolari, siano iscritti al Servizio Sanitario Nazionale, ed adoperarci affinchè tutti i detenuti siano esenti dal ticket sanitario.

Dobbiamo avere la capacità di affrontare i problemi della composizione del carcere, come in passato, quando vi erano in detenzione i protagonisti della lotta armata e, da parte di chi aveva allora la responsabilità delle carceri, ci sono state delle politiche che oggi possiamo individuare nell'emarginazione e nella marginalità sociale.

Sicuramente qualcosa è stato fatto perché, il carcere non è solo un luogo di violenza, ma altresì di 'sperimentazione' sulla quale occorre fare approfondimenti. Chi conosce il carcere lo sa che vi sono state stagioni in cui era ben diverso da oggi. Questo non vuol dire che non si debba continuare in un'ottica di riforma o che quello che si è realizzato sia parziale.

In Parlamento sono in discussione alcune riforme e devo ammettere che qualche mese fa, ero molto sfiduciato e dissi: " mi do un tempo per verificare se alcune riforme vanno avanti…" E ora posso dire che la riforma del D.A.P. è già stata approvata, il che ci consentirà, entro pochi mesi, di avere per il personale che lavora in carcere nuovi motivi per stare insieme in maniera solidale, per non essere più gli uni contro gli altri, frustrati e demotivati, come accade oggi.

Con questa riforma, si danno prospettive di carriera dirigenziale direttiva a molto del personale; il numero degli assistenti sociali quasi certamente passerà a 2500 unità e gli educatori a 1500, cioè praticamente verranno raddoppiati rispetto ad oggi.

C'è stata l'approvazione della legge Simeone - Saraceni che, per quanto non applicata adeguatamente, rimane un punto importante; e poi la legge sull'incompatibilità tra carcere e A.I.D.S.

Il giorno 9 dovremmo licenziare per il Consiglio di Stato, il Regolamento di Esecuzione delle Pene, che è un importante tassello della riforma e inciderà sulla vita quotidiana degli Istituti, che devono diventare luoghi non più di vessazioni, di timore o di incertezza; sia gli operatori che i detenuti infatti, vivono sotto l'incubo di quintali di circolari contraddittorie e quindi ce n'è sempre una adatta alle esigenze di quel giorno. Occorre avere un Regolamento chiaro, nei diritti e nelle prerogative, in quello che si può o meno fare; è un Regolamento che affronta tutti gli aspetti della vita del carcere; è diffuso a tutto il mondo penitenziario, dai provveditori ai direttori, ai sindacati, al volontariato, ai giornali, e la risposta è stata superiore a quella che ci aspettavamo. Cosicchè questo non sarà un prodotto calato dall'alto, ma condiviso, realizzato insieme, e potrà essere il punto di partenza per cambiare il mondo del carcere.

Se il Parlamento avrà il tempo, almeno alcune delle riforme verranno approvate. Ad esempio la legge sul lavoro penitenziario è oramai finita, occorre solo il voto finale in commissione e poi in aula, ma si può dire che sia in dirittura d'arrivo. C'è poi quella sulle detenute madri, che è in commissione e ancora nella fase di discussione generale.

Nel nostro Paese, c'è bisogno di più mobilitazione per conquistare queste leggi, perché altrimenti la lentezza è straordinaria. Ci sono leggi di grande valore come quella dell'abolizione dell'ergastolo che invece non ha iniziato il suo percorso alla Camera dei Deputati; tutto ciò nonostante al Senato abbia avuto un consenso molto più vasto di quello che ci si attendeva prima del voto. Questo vuol dire che il fine pena "mai" è ancora possibile da cancellare.

Su questa proposta, molte volte il Ministro Diliberto si è espresso. A questo punto c'è solo un problema di forze politiche, di vita parlamentare, di tempi, di volontà. Però, nonostante tutto, mi sembra ci siano le condizioni perché sia approvata.

Sul problema dell'indulto, già all'inizio della legislatura, mi ero espresso sostenendo che questo problema o veniva affrontato rapidamente oppure sarebbe stato risolto quasi automaticamente con il trascorrere del tempo e, in quest'ultimo caso, però con alcuni riflessi negativi.

Non dobbiamo poi dimenticare l'omicidio D'Antona, che non ha certo aiutato e non aiuta. In realtà una tragedia come quella dovrebbe aiutare a far capire che certi fenomeni vanno distinti e vanno trovate le soluzioni per rimarcare le differenze che non solo esistono, ma che è bene siano mantenute molto forti. Le proposte di legge, sull'abolizione dell'ergastolo e sull'indulto, hanno qualche difficoltà; per l'ergastolo la via è più facile; per l'indulto invece, c'è una difficoltà strumentale in più che è quella del collegamento con le proposte di amnistia e indulto che vengono presentate nel nostro Paese in relazione ai fatti di tangentopoli. Questo problema si lega inoltre ad un nodo irrisolto tra politica e magistratura e tutto pertanto diventa più complicato.

Concludendo, vi è anche il problema - ricordato al convegno del D.A.P. a Napoli - della definizione delle problematiche della giustizia del carcere nei termini di riflessione teorica. Il contributo teorico oggi più importante sul senso del carcere e della pena, è quello offerto dal Cardinal Martini. Occorre riflettere su questo tema; ci deve essere un dibattito politico sul senso della pena e sul significato del carcere. Ritengo che si debba agire in termini di diritto e di diritti, in termini di prospettiva, di cultura, e non solo di amministrazione o di realizzazioni pratiche. C'è un problema di fondo su cui lavorare; se spingiamo su questo, allora possiamo anche fare maggiori sperimentazioni. Ritengo che la frontiera non debba essere solo quella delle custodie attenuate per tossicodipendenti che accettano il programma terapeutico. Dobbiamo, per esempio in realtà come la Gorgona, tradurre quella sperimentazione di fatto che c'è stata fino ad oggi, in un modello teorico, valido anche se non per tutti, per un rilevante numero di detenuti.

Occorre anche immaginare i cambiamenti nella cultura e nell'architettura delle carceri. Oggi abbiamo vecchissimi istituti; dobbiamo perciò pensare a qualche cosa di nuovo. Se dobbiamo chiudere pessimi istituti - come ad esempio quello di Savona - dobbiamo sostituirli con un modello di carcere diverso, anche dal punto di vista architettonico; che sia il meno afflittivo possibile e che abbia proprio nella costruzione, dei modi di convivenza diversi.

Tutto diventa però più difficile se si pensa che, per esempio qui a Firenze, c'è la denuncia di un sindacato per l'ipotesi di mettere in realizzazione - dopo tanti anni - il giardino degli incontri a Sollicciano. Un'opera disegnata da Michelucci che è uno dei più grandi maestri dell'architettura italiana, un progetto regalato all'amministrazione che rappresenta certamente una testimonianza, un modo di pagare un debito di riconoscenza. Tutto questo perché si ritiene sia uno spreco di denaro. La verità è che la bellezza fa paura, come la felicità. Si deve purtroppo fare i conti anche con questo.

Ritengo che attraverso un chiarimento dei problemi di fondo e della sperimentazione, noi possiamo dare un contributo non solo al miglioramento della vita nel carcere, ma al miglioramento della nostra società. Questo deve essere l'obiettivo primario che si deve avere.

Non vorrei apparire reticente sulla domanda che è stata posta sul 41bis: il problema è che nella mia delega sul carcere non è presente questa parte, perché è stata tenuta per sé dal Ministro. Quindi non è opportuno che su questo mi diffonda; quello che posso e voglio dire è che alcune modifiche anche per quanto riguarda i colloqui dei detenuti del 41 bis, sono state realizzate attraverso una circolare di Margara, già un anno fa, e attraverso alcune sentenze della Corte Costituzionale che ha modificato in parte quel regime. Resta il fatto che la ragione di quel regime è fondata sull'impedire i contatti con l'esterno, e con la possibilità di dare all'esterno ordini, messaggi da parte di chi ha appartenuto e appartiene a organizzazioni mafiose criminali. Tutto ciò però non deve ripercuotersi con afflittività sulla vita dell'istituto. Nella proroga che è stata fatta alla Camera dei Deputati, per un anno è stato approvato un ordine del giorno che chiede una valutazione sull'applicazione di questo regime del 41 bis. Quindi, il Dipartimento dovrà fornire al Parlamento una relazione sullo stato di applicazione di questo regime che è senza dubbio un regime duro.

Vi ringrazio di avermi consentito di partecipare a queste giornate e buon lavoro