Discorso di inaugurazione dell'anno Giudiziario 2001
Trieste Sabato 13 gennaio 2001.
Come sottosegretario alla Giustizia sin dal Governo Prodi, e poi nei due governi D'Alema
e infine nel Governo Amato, ho partecipato a ben cinque inaugurazioni dell'anno giudiziario.
Una cerimonia probabilmente un po' anacronistica, ma che, almeno nella mia esperienza,
è stata anche occasione di un confronto reale sulle condizioni della giustizia in
Italia e sui contenuti del processo riformatore avviato dal Governo.
Oggi al quinto anno di legislatura, e a pochi mesi dallo scioglimento delle Camere, questa
cerimonia può essere l'occasione anche per un bilancio complessivo dell'azione riformatrice
avviata dopo le elezioni del 1996.
Il tema della giustizia è sovente tema di scontro politico e di polemica.
Ma su due dati mi pare sia difficile non convenire.
Il primo dato è la situazione di gravissima crisi in cui si trovava la giustizia
italiana quando, cinque anni fa, la coalizione dell'Ulivo ha assunto la responsabilità
del governo del paese.
Una crisi di efficienza per i lunghissimi tempi di risposta alle istanze di giustizia dei
cittadini e per le innumerevoli disfunzioni dell'apparato giudiziario, ma anche, in larga
parte determinata dalla prima, una crisi di credibilità del sistema giudiziario nel
suo complesso. Nonostante le (e a dispetto delle) brevi stagioni di consenso, almeno apparentemente
ampio, nei confronti del potere giudiziario negli anni dell'azione di contrasto ai fenomeno
del terrorismo e, nella fase più recente, di corruzione e di criminalità organizzata,
il livello di fiducia dei cittadini nei confronti dell'apparato giudiziario resta purtroppo
drammaticamente basso, come peraltro conferma anche un recentissimo rapporto del Censis.
La ragioni di questa crisi di credibilità e di consenso del potere giudiziario sono
certamente molteplici e complesse.
L'inefficienza dell'apparato, lo ripeto, gioca un ruolo determinante, in quanto incide
negativamente sulle istanze di soddisfazioni di diritti e di bisogni delle persone.
E sicuramente un peso rilevante ha anche la accentuata "sensibilità" di
alcuni esponenti politici rispetto a singole vicende giudiziarie, il che ha spesso determinato
un eccesso di attenzione polemica sulla azione giudiziaria e sulla magistratura. Penso in
particolare ai recenti attacchi di un esponente di spicco della "casa delle libertà"
non solo nei confronti di singoli magistrati, ma addirittura nei confronti di una componente
della magistratura, Magistratura Democratica, indicata come artefice e ispiratrice di un
complotto politico-giudiziario ordito ai danni di esponenti politici di quello schieramento.
Un attacco tanto forte quanto infondato, come testimonia la storia di tutto l'associazionismo
giudiziario italiano ed in particolare di Magistratura democratica - di recente ricostruita
in un bellissimo libro di Giovanni Palombarini-, cui si deve un impulso determinante per
la affermazione di una attenzione critica sull'esercizio della giurisdizione, cui dovrebbe
guardare con favore, se non addirittura con gratitudine, chi si sente ingiustamente perseguito
dal potere giudiziario. Ma la palese infondatezza dell'accusa non la rende meno pericolosa,
in quanto una volta lanciata essa tende a sedimentare nelle coscienze, e contribuisce a
minare la fiducia dei cittadini nei confronti della magistratura.
Ma non giova alla credibilità della magistratura, anche questo va detto, l'eccesso
di presenzialismo con cui a volte singoli magistrati accompagnano la loro azione giudiziaria:
conferenze stampa; dichiarazioni alla stampa a commento delle indagini; dichiarazioni alla
stampa di risposta, a volte polemica, a dichiarazioni di indagati. Come pure non giova un
costume giornalistico che ha immesso nel circuito politico-mediatico alcuni magistrati che
hanno assunto una certa notorietà in ragione delle inchieste svolte. Fermo restando
il pieno diritto, anche per i magistrati, di manifestazione del pensiero mi domando se non
sarebbe utile e opportuno che tale diritto venisse tendenzialmente esercitato attraverso
contributi meditati piuttosto che attraverso la partecipazione alla ridda di dichiarazioni
estemporanee di esponenti politici. E' anche da questo costume che discende l'impressione,
comune a molti cittadini, di un pieno coinvolgimento di quei magistrati, e poi in definitiva
di tutta la magistratura, nello scontro politico tra gli schieramenti.
Né giovano ancora alla credibilità della magistratura le tentazioni, non
frequentissime, ma pure presenti, di alcuni magistrati inquirenti ad improprie "invasioni
di campo". Penso in particolare all'uso eccessivo che sicuramente vi è stato
da parte di molte procure del potere di inchiesta sul delitto di abuso di ufficio prima
della riforma del 1997. Il fatto che a fronte di una giurisprudenza di legittimità
consolidata su una interpretazione rigorosa della norma venisse avviato un numero elevatissimo
di indagini, destinate nella quasi totalità dei casi a provvedimenti di non luogo
a procedere o di assoluzione, era sintomo di una patologia che rischiava di minare la serenità
dei rapporti tra istituzioni rappresentative e magistratura. Patologia rispetto alla quale
fu doveroso intervenire da parte del legislatore. Un caso analogo, più recente e
per fortuna più circoscritto, si è verificato con riferimento alle inchieste
avviate da alcune procure italiane nei confronti dei clienti di prostitute e che nella stampa
è passata come "linea dura anti-prostituzione". A fronte, e direi a dispetto,
di una interpretazione pacifica e mai discussa sia nei lavori preparatori della legge "Merlin"
sia nei quaranta e passa anni di applicazione che escludeva la rilevanza penale della condotta
del cliente della prostituta, l'iniziativa giudiziaria ha assunto tutti gli aspetti di una
indebita invasione di campo.
Tutto ciò accompagnato dalla complessiva arretratezza dell'ordinamento giudiziario,
la cui struttura fondamentale, al di là di singole settoriali correzioni adottate
negli anni, resta quello adottato nel periodo fascista..
Questa era la situazione che il governo si è trovato a dover fronteggiare all'inizio
della legislatura: una crisi profonda sotto ogni versante e, in più, una continua
fibrillazione nel mondo politico sulle vicende della giustizia.
Il merito del Governo e del Parlamento è stato quello di tentare di aggredire sin
dall'inizio e contemporaneamente le ragioni della crisi. Certamente si può discutere
del merito delle singole iniziative né ci si può illudere di aver, come per
magia, risolto ogni problema. Ma quello che non è discutibile, ed è questo
il secondo dato, direi oggettivo, che volevo ricordare, è che mai nella storia della
nostra repubblica si era registrata una azione riformatrice così ampia e articolata
nel settore giustizia, con il concorso e il consenso di tutte le forze politiche. Vorrei
ribadirlo quest'ultimo punto perché può apparire incredibile, eppure è
così, che a dispetto delle quotidiane polemiche sulla giustizia tutti i provvedimenti
adottati nella legislatura siano stati approvati con il voto favorevole, e in alcuni casi
di astensione, delle opposizioni.
Il primo obiettivo è stato quello di porre le basi per un recupero in chiave non
congiunturale di efficienza del sistema. In questa direzione si muovevano i provvedimenti
sul giudice unico; sulle sezioni stralcio; la depenalizzazione dei reati minori; la competenza
penale del giudice di pace; la riforma dell'udienza preliminare e del giudizio abbreviato,
tutti approvati definitivamente.
Cardine dell'evoluzione normativa e organizzativa di questi anni è costituito dall'istituzione
del Giudice unico, entrata in vigore a pieno regime dal 2 gennaio del 2000.
Nel suo aspetto essenziale, la riforma del giudice è una indispensabile riforma
ordinamentale, che ha finalmente unificato in un solo ufficio la giurisdizione ordinaria
di primo grado (così facilitando l'accesso dei cittadini), razionalizzato la geografia
giudiziaria e realizzato primo concreto e significativo segmento dell'attesa revisione delle
circoscrizioni.
L'unificazione ha comportato una concentrazione di risorse umane e materiali nell'unico
ufficio di primo grado, creando le premesse per accrescere efficienza e funzionalità
del sistema giudiziario e per sostenere la maggiore complessità organizzativa derivante
da vincoli ordinamentali (incompatibilità, artt.445 e 445-bis c.p.p., rapporto Gip-Gup,
anzianità minima dei giudici
), assolutamente ingestibili senza la riforma.
Senza trionfalismi e senza catastrofismi, un realistico bilancio deve mettere in evidenza
i primi importanti effetti positivi in termini di più razionale organizzazione e
di accresciuta capacità di risposta (a cominciare dagli incoraggianti dati sulla
riduzione dei tempi medi di svolgimento in primo grado del processo civile di nuovo rito)
e le tante potenzialità, che potranno essere dispiegate dallo sforzo congiunto di
quanti hanno competenze e responsabilità nell'attuazione della riforma.
Un esempio viene proprio dal Tribunale di Trieste, che ha registrato una riduzione delle
pendenze civili in tutti i settori nel periodo dal giugno 1999 al giugno 2000; una riduzione
del 27,3% delle pendenze dell'ufficio GIP (da 2.900 a 2.114); un incremento del 50% delle
udienze mensili del settore monocratico (da 16 a 24 udienze mensili).
Certo non dappertutto sono stati raggiunti positivi risultati e non mancano ritardi e disfunzioni,
ma la loro enfatizzazione per trarne infondati giudizi negativi sull'attuazione della riforma
è sintomatica di una astratta concezione miracolistica del cambiamento. Chi ha avuto
la capacità di cogliere e utilizzare tutte le possibilità implicate dalla
riforma, sta davvero contribuendo al miglioramento della struttura giudiziaria.
Con la riforma sono state eliminate duplicazioni di strutture amministrative, con connesso
risparmio di spese e recupero di personale; è stato notevolmente ridotto il numero
dei "trasferimenti" di magistrati e funzionari, sostituiti da più semplici
e veloci spostamenti tabellari per i magistrati e spostamenti di servizio per il personale
amministrativo, con snellimento e accelerazione dell'attività del CSM e del Ministero;
sono stati potenziati i tribunali di piccole dimensioni, con possibilità, anche per
essi, di introdurre criteri di pur limitata specializzazione fra i magistrati e di prevenire
o risolvere - grazie anche alla possibilità di utilizzazione delle tabelle infradistrettuali
- molti problemi connessi all'incompatibilità dei magistrati nello stesso procedimento;
con il trasferimento di attività amministrative alla pubblica amministrazione sono
state liberate energie da utilizzare in attività più propriamente giudiziarie.
Tale complesso di innovazioni ha richiesto e richiede un grande impegno di intelligenza
e di lavoro e chiama in causa la capacità progettuale e organizzativa di quanti,
a tutti i livelli, hanno la responsabilità di assicurare il buon andamento degli
uffici.
Si tratta di compito sicuramente gravoso, che è stato ed è affrontato, da
chi ha preso sul serio la riforma, con la convinzione della necessità e della doverosità
di uno sforzo certamente straordinario, ma concretamente possibile.
L'esperienza maturata nel primo anno di avvio della riforma consente di trarre elementi
di valutazione per individuare i moduli organizzativi più efficienti e funzionali,
far conoscere e diffondere in tutto il reticolo giudiziario le soluzioni che si sono empiricamente
dimostrate più utili a produrre efficacia, efficienza, economicità del sistema
giudiziario.
I positivi risultati raggiunti in molti uffici; le incoraggianti e rilevanti "sperimentazioni"
di nuove organizzazioni che si vanno compiendo in taluni uffici giudicanti (tribunali di
Bologna e di Catania e corte d'appello di Cagliari) e in alcune procure della Repubblica
(Milano e Torino) sono attualmente all'esame congiunto del Ministero e degli uffici giudiziari,
per farne oggetto di confronto e poi di diffusione in tutti gli uffici.
Particolarmente positivi i risultati derivanti dalla istituzione delle sezioni stralcio
per lo smaltimento dell'arretrato.
Pur risultando nel 2000 non interamente coperto l'organico degli uffici dei giudici onorari
aggregati, è possibile rilevare un netto miglioramento della capacità di esaurire
le cause ancora pendenti. E peraltro la percentuale delle impugnazioni di questi provvedimenti
rimane modestissima.
Il buon funzionamento delle sezioni stralcio, insieme al giudice unico, è la causa
dell'avvio di un circuito virtuoso nel settore della giurisdizione civile - che assorbe
ben 2/3 del contenzioso giudiziario.
Il dato certamente più significativo è che su scala nazionale e in numerosi
distretti nel 2000 il numero delle cause civili smaltite in primo grado sia superiore al
numero delle cause sopravvenute, invertendo la tendenza all'accumulo dei processi inevasi
a vantaggio dell'annullamento del pregresso.
Inversione che deve adesso essere perseguita anche per la fase di appello.
Insieme alle iniziative finalizzate a restituire efficienza all'apparato giudiziario Governo
e Parlamento individuarono altri due settori di intervento riformatore con l'obiettivo di
restituire forza e credibilità alla giustizia.
In primo luogo vanno ricordate le iniziative in materia di garanzie nel processo penale.
Ho già accennato alla riforma del 1997 del delitto di abuso di ufficio e agli effetti
positivi che a mio avviso ne discendono in termini di "accettabilità sociale"
dell'azione giudiziaria. Ma in particolare vanno ricordate le riforme in materia di formazione
della prova nel processo penale e di terzietà del giudice inseriti nella riforma
dell'articolo 111 della Costituzione. Gli interventi del legislatore, prima ordinario poi
costituente, sul tema della formazione della prova hanno raccolto scarsi consensi nella
magistratura. Io credo che questa posizione di contrarietà alla riforma sia stato
un errore, che ha contribuito a minare il rapporto di fiducia dei cittadini nei confronti
della magistratura, in quanto il consenso nei confronti dei giudici e dello statuto di indipendenza
del potere giudiziario trova fondamento soprattutto nel ruolo e nella funzione di "garanzia"
del giudice in favore dei cittadini, in particolare i più deboli, nei confronti del
"potere". Terzietà e imparzialità del giudice, indipendenza da ogni
altro potere e funzione di garanzia della legalità sono, tutte insieme, le condizioni
imprenscindibili di legittimazione democratica della magistratura. E per questo penso sarebbe
un errore da parte della magistratura la difesa di norme antigarantiste che attribuiscono
poteri "impropri" alla giurisdizione.
Vanno, infine, ricordate, le iniziative finalizzate alla revisione dell'ordinamento giudiziario.
Purtroppo la gran parte dei provvedimenti proposti dal Governo - il disegno di legge in
materia di valutazione dei magistrati; quello sulla distinzione delle funzioni giudicanti
e requirenti; quello sugli di incarichi extragiudiziari; la riforma del procedimento disciplinare
a carico dei magistrati; il disegno di legge per la istituzione della Scuola della magistratura-
non ha trovato sbocco in Parlamento.
La ragione principale è da ricercare nel fallimento del progetto di revisione costituzionale
elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, nella cui discussione
erano confluite le questioni inerenti l'ordinamento giudiziario.
Dopo il fallimento della riforma costituzionale non è stato più possibile
riavviare il dibattito su quei temi.
Ma in un momento in cui, alla fine della legislatura, si è chiamati a fare un bilancio
dell'azione delle forze politiche è forse il caso di rimarcare la grave responsabilità
che si è assunto chi ha determinato il fallimento del progetto di ammodernamento
dell'apparato dello Stato e del sistema giustizia che la commissione bicamerale aveva elaborato.
Penso, oltre alle riforme in materia di ordinamento giudiziario, alla unità funzionale
della giurisdizione, alla riserva di codice in materia penale e al principio di offensività,
alla revisione anche della prima parte dell'art.111 con riferimento al ricorso per Cassazione.
Sono riforme di cui il paese ha bisogno oggi più di allora. Ed anche su questi temi
sarà necessario riavviare il processo riformatore.
Il bilancio, alla fine, è altamente positivo. Possiamo dire di aver posto le basi
reali per un recupero in termini strutturali di efficienza e di garanzia dell'apparato giudiziario.
Ora bisognerebbe avere il tempo e le condizioni politiche per aprire una nuova stagione
di riforme, una stagione, da collocare ovviamente nella prossima legislatura, che definirei
di "nuova codificazione":
- un nuovo ordinamento giudiziario nelle linee segnate dai progetti approvati dal governo
all'inizio della legislatura e dal progetto elaborato dalla commissione bicamerale;
- un nuovo codice penale nella direzione di un diritto penale minimo e, soprattutto, di
una drastica riduzione della pena detentiva; a partire dalle preziosi indicazioni contenute
nel progetto elaborato dalla Commissione Grosso;
- un intervento complessivo di sistemazione organica del processo penale;
Oltre agli interventi di riforma sul piano legislativo cui ho accennato, va ricordato anche
il rilevantissimo sforzo riformatore messo in campo nei settori della organizzazione e del
personale. In questi anni il Ministero della giustizia ha radicalmente modificato la propria
struttura organizzativa, e questo processo dovrebbe essere completato dalla approvazione
del disegno di legge sul decentramento. Una attenzione particolare è stata dedicata
alla valorizzazione del personale amministrativo, sia provvedendo a colmare i rilevantissimi
vuoti di organico, sia prevedendo, con il contratto collettivo, percorsi di riqualificazione
e di accrescimento professionale per la gran parte dei dipendenti. E ciò nella piena
consapevolezza che un sistema efficiente richiede la valorizzazione del ruolo di tutti i
soggetti coinvolti.
Analogo sforzo di ammodernamento dell'apparato e di valorizzazione del ruolo del personale
si è fatto per quanto riguarda l'amministrazione penitenziaria. Aumenti di organico
- e assunzioni- del personale amministrativo, tecnico, del settore trattamentale e di polizia
penitenziaria. Riqualificazione di tutto il personale. Investimenti rilevanti nell'edilizia
penitenziaria.
Purtroppo, però, il carcere continua a restare un luogo di sofferenza e di emarginazione
tendenzialmente dimenticato e rimosso. Se ne parla con accenti partecipati, commossi o indignati
in occasione di eventi drammatici come i fatti di Sassari o i suicidi di detenuti o di agenti
ovvero in occasione di evasioni o di delitti commessi da persone ammesse a benefici. Ma
poi si torna a dimenticare.
Le ricorrenti polemiche sui temi della sicurezza, con una ingiustificata enfatizzazione
della paura nei confronti della immigrazione; e il continuo prevalere di un approccio ideologico
sul tema delle droghe impediscono di prendere atto del fatto che la stragrande maggioranza
delle persone ristrette sono soggetti deboli ed emarginati, per i quali il carcere è
inutile quando non è dannoso e rappresenta un costo, in termini sociali ma anche
in termini economici, assolutamente intollerabile.
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